La Torre di Peppe
“ Incrocio di strade tortuose circondate dalle alte mura di antichi cortili, profumo di aranci in fiore, greggi di pecore e sullo sfondo vigile custode il campanile di Loreto”[1]
G. Berlingerio, La Torre di Peppe, Mola che scompare, Shena editore, Fasano, 1988, pag. 13
Il toponimo torre di Peppe è presente nel catasto onciario del 1754,[2] gran parte dei molesi lo attribuivano alla ciminiera, ormai demolita, di un antico opificio.

In realtà, cosi come dimostrato dal catasto, esso è molto più antico e fa riferimento ad una vecchia torre, intendendosi per torre una costruzione rurale edificata per la sorveglianza del raccolto e dei fondi circostanti.
E’ un luogo magico ove storia e leggende si intrecciano, oggi per le radicali trasformazioni urbanistiche ha perso parte dell’alone di mistero che lo accompagnava favorito dalla presenza di strade anguste, tortuose e scarsamente illuminate.
Sopravvivono le leggende ed i racconti che ne perpetuano il ricordo.

Il fantasma della Torre di Peppe
Una antica leggenda racconta di un contadino, che abitava in un casolare oltre la lama di S. Giuseppe, ed era terrorizzato dal dover rientrare in casa dopo il tramonto.
Infatti ogniqualvolta era costretto per lavoro a rincasare dopo l’imbrunire, l’uomo si avvicinava con circospezione alla lama tenendo in mano un lume acceso.
Giunto in vista dell’alveo della stessa, tra le cime di un albero spuntava puntualmente uno spettro, che minacciandolo a gesti, gli intimava di allontanarsi tornando in dietro sui propri passi.
Il poveretto era pertanto costretto a chiedere ospitalità per la notte a parenti ed amici.
Disperato ed impaurito da questa situazione che si ripeteva ormai da tempo, il pover’uomo si decise a chieder aiuto ad un suo più audace amico.
Dopo aver discusso a lungo della cosa decisero di vederci chiaro, e fattisi coraggio, raggiunsero la lama dopo il tramonto, armati di uno schioppo.
Il fantasma non si fece attendere e comparve minaccioso sull’albero; ma questa volta l’amico coraggioso imbracciato lo schioppo urlò: Se sei uomo scendi, se sei spirito sparisci perché ora io sparo!
Nel sentire quelle parole e nel vedere lo schioppo, il fantasma supplicò di non sparare e spiegò agli esterrefatti amici che lui era un uomo, messo li per terrorizzare i contadini affinché non scoprissero i traffici illeciti che avvenivano di notte lungo la lama.
Da quella notte il malcapitato poté tornare indisturbato alla propria abitazione.
La morale del racconto è che non bisogna aver paura degli spiriti ma degli uomini.[3]
[1] G. Berlingerio, La Torre di Peppe, Mola che scompare, Shena editore, Fasano, 1988, pag. 13
[2] G. Berlingerio, Nobili,Civili e Galantuomini nella Mola del XVIII secolo , Schena, Fasano, 1996 pag. 58
[3] G. Berlingerio, L’altra Mola, storia e leggende di un paese del Sud, Giazira scritture, Noicattaro, 2020, pag. 97